Sii fermo come la montagna; muoviti come il grande fiume.

Lao Tzu

 

Il nome tuo è ghiaccio sulla mia lingua. Provo a pronunciarlo piano ma si frantumano le sillabe e più non ritrovano la forma originaria. Così muto resto a fissarti sull’uscio, mentre trafiggi, con gli algidi aculei del silenzio, ognuno dei miei cento cuori di argilla. Cuori che sanguinano lacrime di creta, nel lago dove all’alba ho visto le mani mie in un istante riempirsi di niente. Niente, umido e materico, come il tuo sguardo addosso, e più lo indosso e più nudo mi sento fino alle ossa. Lenta discendi le scale e mi tramuto in un’esangue statua di sale. Madre. Sordo e immobile, sempre solo resto,  mentre le stesse scale risali e riesco solo a ricordare mio fratello. Il mio biondo fratello e la sua ragazza, tu, nostra madre. Ricordo suo marito che è anche nostro padre. Ricordo di aver chiesto all’acqua, ogni notte, di portarmi via centinaia e centinaia di anni lontano da te. Ma sempre crocifisso resto, ora come allora, alle tue feroci cure, madre, che mi accarezzi da sempre con gli artigli della colpa. Fermo, non ho forza di nuotare oltre lo scoglio del tuo sguardo gelato, perché tutto il mio sangue è stato versato in un lago all’alba. Dove ho compreso urlando chi ero. Dove ho compreso, fratello mio, che tu credevi in me molto più di quanto io credessi in me. Molto di più e molto prima. Da quella notte prego ogni notte per la pioggia. Prego che lavi via il sangue dai miei ricordi. Prego che allevi il silenzio che strangola questa casa di marmo. Prego. Prego. Prego. E quando si prega per la pioggia bisogna metterlo in conto, il fango.

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