Il corso di public speaking è destinato non solo a coloro che hanno necessità di migliorare il proprio modo di parlare in pubblico per la propria professione (giornalisti, manager, insegnanti, relatori, avvocati…) ma anche a tutti coloro che hanno interesse nello scoprire i segreti della comunicazione verbale, non verbale e paraverbale. Conoscere gli argomenti non significa in alcun modo saperne parlare o addirittura saperli insegnare. L’arte della retorica e la comunicazione efficace, devono poggiarsi solidamente su una struttura tripode basata su tre elementi cruciali: il lavoro sulla voce, il lavoro sul corpo e per finire il lavoro sul carattere. A differenza di quanto si pensi, il corso di public speaking non ha nulla a che vedere con corsi motivazionali, improntati principalmente su tecniche di vendita e marketing. Il public speaking ha bisogno di essere supportato da elementi meramente attoriali che non contemplano il mental coaching. Durante il corso si affronteranno argomenti come la dizione (per curare la parola e l’articolazione dei suoni), la ritmica (per dare una struttura al proprio modo di parlare), e l’educazione del corpo (per avere una gestualità consapevole ed efficace). La prima grande difficoltà è l’eliminare l’ansia da prestazione che inficia ogni performance. Siamo animali sociali e come tali sentiamo la necessità di essere accettaticercando l’approvazione dei nostri simili. Parlare in pubblico ci espone e ci fa sentire vulnerabili. In questo processo entrano quindi in gioco l’amigdala e l’ipotalamo. L’amigdala gestisce l’eccitazione, influenza i processi decisionali ed elabora stati emozionali come la paura, la rabbia, la felicità, la tristezza e l’aggressività. L’ipotalamo invece regola le funzioni del corpo, proteggendoci da millenni e, seppur “educato” alla nostra vita attuale, non discerne tra minacce reali (la vicinanza di un predatore) o presunte (parlare davanti ad un pubblico). Quando avverte quello che per noi è un pericolo fa entrare il corpo in modalità “fight or flight” – “combatti o fuggi”. Questa preparazione, alla lotta o alla fuga, implica il rilascio di adrenalina: il battito cardiaco e la pressione sanguigna aumentano notevolmente, la digestione si interrompe bruscamente, l’ossigeno viene convogliato nei muscoli e il sangue devia verso gli organi vitali, tralasciando le funzioni periferiche, da qui la secchezza della bocca, l’eccessiva sudorazione anche delle mani e paradossalmente anche la memoria, ritenuta in questa circostanza non determinante, non viene alimentata. In caso di ansia il nostro discorso, imparato con un notevole sforzo mnemonico, svanisce come per incanto. Quindi la prima cosa sulla quale intervenire è l’ansia da prestazione, letteralmente impedendo ai nostri istinti ancestrali di avvertire come un pericolo l’esposizione davanti ad un pubblico (condizione assolutamente prioritaria nel mestiere dell’attore). Si procede quindi blindando il gruppo di lavoro, poiché basta un solo ingresso in corsa per mutare l’intera energia di una classe. Gradualmente il gruppo riconosce se stesso, i singoli partecipanti imparano a fidarsi e ad affidarsi. Si crea così un ambiente di lavoro sereno e familiare che permetterà di cominciare ad esporsi individualmente, accrescendo in ognuno la self-confidence e aiutando a mettere da parte la paura e la timidezza. Questa è la fase più delicata dell’intero laboratorio, nel quale si utilizzano le tecniche di “esposizione controllata”, “stimolo alla risposta” e “spostamento del centro dell’attenzione”. Mentre ci si espone individualmente si hanno sempre più mezzi tecnici per farlo, spostando l’attenzione e abbassando notevolmente l’ansia performatica, apprendendo quindi come concentrarsi esclusivamente su quelli che sono i compiti e imparando così a fare letteralmente “il vuoto intorno”. Successivamente si fortificano quelli che vengono definiti “gli aiuti interni”, lavorando su ciò che dipende esclusivamente da noi: prepararsi al meglio per la performance (in questo caso specifico uno speaking), apprendere le basi di una corretta respirazione diaframmatica, curare la dizione, provare e rivedersi per sviluppare un “occhio esterno” critico e, soprattutto, padroneggiare alla perfezione le tecniche che riguardano i “disegni” ritmici del parlato. Poiché si possono dire cose interessantissime ma se lo si fa in maniera “aritmica” i nostri interlocutori non riusciranno a seguirci e la comunicazione non sarà in alcun mondo efficace.

 

Il corso è a cadenza unisettimanale in fascia preserale.

Classe a numero chiuso, posti limitati.

Per informazioni chiamare al 329.7788707